Inizio
anni 80: La Roma è pronta per lo scudetto
Turone segna il gol più famoso
In Juve-Roma del maggio 1981 un gol valido annullato al giallorosso frena
la corsa al titolo. Ma la questione é solo rimandata: é arrivato
Falcao, l'uomo-faro della squadra, il campione che Pelé preferisce a
Zico
Maurizio Turone in arte Ramon, forse era restato a Roma perchè prescelto
da un destino calcistico: quello di dare il nome al gol più fumoso della
storia moderna del nostro campionato. Un gol che non è mai esistito,
ufficialmente: e questo è il fascino ambiguo della vicenda. Proprio così:
«sotto l'ambiguo lume», secondo un verso dannunziano. Il gol venne
segnato nella sfida, risolutiva per lo scudetto, tra Juventus e Roma che si
svolse a Torino il 10 maggio 1981.
La Juve era in affanno, non si aspettava tanta spavalderia romanista, aveva
atteso quella partita per togliersi il fastidio d'intorno. Furino era stato
espulso, la Roma attaccava, mancavano pochi minuti alla fine. Cross di Conti
dalla sinistra, deviazione di Pruzzo, tuffo di Turone sopraggiunto sulla spinta
dell 'ispirazione. Zoff attonito: un volo del genere non l'aveva mai fatto neppure
lui, fuoriclasse tra i portieri. Una bellezza di gol. Poi Zoff tutto agitato
alzò il braccio, era uscito dalla trance vedendo la bandiera del segnalinee
sventolare. Ed esultò Zoff, in sieme alla Juve tutta, insieme ai cinquantamila
tifosi rabbrividiti dalla paura, quando l'arbitro Bergamo di Livorno annullò
il gol: e altro non poteva fare, dopo la segnalazione del guardalinee. C'erano
altre due partite da giocare, la Juve le vinse entrambe per 1-0, a Napoli (i
partenopei erano terzi in classifica) e contro la Fiorentina. La Roma pareggiò
la gara finale di Avellino e finì a due punti: a rigor di classifica,
con quel gol di Turone avrebbe terminato alla pari con la Juve, ma le cose non
vanno viste così. Se la Roma si fosse portata ad Avellino con lo scudetto
in tasca, cioè con il sacrosanto punto di vantaggio sulla Juve, quel
pareggio l'Avellino se lo sarebbe sognato.
«Sotto l'ambiguo lume»: perchè le riprese televisive dimostrarono
subito che il gol di Turone era valido e perchè l'arbitro Bergamo confessò
che lui l'aveva concesso. E lo va
ripetendo da quattordici anni, come in una pubblica confessione espiatoria,
come per offrirsi alla gogna, in una corrosiva ansia di verità. Ecco
perchè quel gol ufficialmente mai segnato, è il gol più
famoso del nostro campionato: non cesserà mai di far discutere, almeno
per tutto il tempo della nostra generazione.
E'
arrivato l'uomo-scudetto
Da quale magìa era uscita, quella Roma capace di vincere lo scudetto
e di suscitare tanto clamore? Le polemiche provocate dall'involontario errore
dell'arbitro Bergamo accesero il campionato di una passione insolita, la rivalità
tra la Roma e la Juve assunse gli aspetti di una guerra di religione, stravolse
consolidate tradizioni, spostò l'asse portante del nostro calcio. Non
più TorinoMilano ma Torino-Roma. La Juve ne uscìcosì confusa
da assumere atteggiamenti paradossali: tanto per dire, pensò di castigare
i giornalisti romani, almeno quelli che avevano fatto più chiasso, interrompendo
l'abitudine cortese del simbolico regalo natalizio. Meno male, così ci
tolse dall'imbarazzo. Questa Roma era nata dalla mente e dai piedi di Paulo
Roberto Falcao, un giocatore che possedeva la formula della perfezione tattica:
«intuizione-movimento-praticità», e che per questo merita
un posto tra i «grandi» di sempre.
Il
peso del calcioscandalo
Era un'epoca attraversata da fermenti convulsivi. C'era ansia di novità,
per naturali spinte evolutive ma anche per liberarsi da un peso insopportabile,
una vergogna che piegava le schiene e invadeva le coscienze. C'era stato lo
scandalo della partite truccate. Squadre come Milan e Lazio erano state retrocesse
d'autorità, altre pesantemente penalizzate. Emeriti campioni - idoli
carezzati dall'affetto popolare- finirono nelle aule dei tribunali. Pablito
Rossi, il ragazzo della porta accanto, così intimidito e semplice, pallido
e intemerato; cosi fragile fisicamente ma forte moràlmente, era invece
tra quelli che avevano ceduto. Fu squalificato per un lungo periodo, lo avremmo
riavuto in tempo per vincere, con i suoi gol preparati da Bruno Conti, il mondiale
in Spagna.
Avevamo fretta di dimenticare, di uscire da un mondo che aveva perduto la creduta
innocenza. L'aria vibrava di bisbigli sospettosi. Furono riaperte le porte agli
stranieri, avremmo avuto altri personaggi cui dedicare la nostre attenzioni.
Dino Viola presidente della Roma, che amava stare almeno di un passo davanti
a tutti, aveva da sempre individuato il suo campione: Artur Antunes Coimbra
detto Zico. Fuoriclasse del Flamengo di Rio de Janiero e del calcio brasiliano.
Viola aveva stabilito i contatti fin da quando, in Consiglio Federale, era stato
riproposto il problema «stranieri». Fu proprio in quella fase esplorativa
che un esperto del settore sussurrò a Viola: perchè Zico e non
Paulo Roberto Falcao, che gioca nel Porto Alegre? E così nacque il dubbio,
che tormentò il presidente e l'allenatore, il barone Nils Liedholm che
pure le certezze o le trovava o se le costruiva. Nell'estate dell' 80 la Roma
fu invitata ad un torneo negli Stati Uniti. Nella confidenza di una libera chiacchierata
Nils Liedholm disse ad un giornalista, Francesco Rossi del Messaggero: «Ho
visto girare Pelè, se ti capita di incontrarlo, gli chiedi chi preferisce,
tra Zico e Falcao?». E precisò: «Se vado io, malignerebbero
sui miei dubbi». Il collega incontrò per primo Carlos Alberto,
un altro campione del calcio brasiliano, quello che nella finale mondiale'70
in Messico pur essendo un terzino ci rifilò il quarto gol; Carlos Alberto
fu esplicito: preferiva Falcao. Poi il quesito venne posto al sommo sacerdote,
vale a dire Pelè, che assunse per l'occasione la dignità ispirata
di un vero profeta: "Non conta, disse, sapere chi è più forte.
E forse il più bravo è Zico. Conta stabilire chi è il più
adatto al campionato italiano, e allora non ci sono dubbi: il più adatto
è Falcao, e lo è in senso assoluto". Il collega Rossi scrupolosamente
informò Liedholm che prese la sua decisione, riferita poi a Viola che
fu d'accordo.
Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport
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